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Parco della Favara Palermo |
La Favara (dall'arabo al-fawwāra, "la sorgente") fu il nome di un parco reale normanno di Palermo - chiamato anche parco di Maredolce.
Edificato per volere del re Ruggero II prima del 1153 e forse identificabile con il Qaṣr Jaʿfar (il Palazzo di Jaʿfar) visto da Ibn Giubayr nel 1184, e che Michele Amari collega al nome dell'emiro kalbita che governò Palermo dal 998 al 1019.
Il parco della Favara di Maredolce si trova al margine est di
Palermo, dove termina il quartiere di Brancaccio. L'antico parco era
costituito da un palazzo (il castello di Maredolce),
un giardino di delizie e da un lago artificiale già stimato
dell'estensione di circa 40 ettari, ma probabilmente esteso non più di
17, secondo quanto si può rilevare dalla posizione dei resti della diga
che lo sbarrava, e dalla lettura delle foto aeree zenitali. Romualdo Guarna,
arcivescovo di Salerno, descrive nella sua cronica del mondo come re
Ruggero fece asportare tantissima terra per formare il bacino
artificiale sulle cui rive fece costruire un bellissimo palazzo. Questa è
una tipologia che ritornerà anche nel piccolo padiglione-isolotto del
palazzo della Zisa o nel palazzo o cosiddetto Castello della Cuba.
Al centro del bacino vi era un'isola con palme e agrumeti raggiungibile
solo in barca, e tutto il complesso era circondato da lussureggianti
giardini. Il parco della Favara si trova oggi ai margini di un quartiere
di periferia, in parte intatto nella superficie originale. La
speculazione edilizia si è fermata ai margini del bacino, che
raccogliendo ancora le acque della montagna vicina, ha protetto il
parco. Ma speculazioni e abusi recenti di persone senza scrupoli ne
stanno minacciando anche gli ultimi lembi.
Le sorgenti principali che lo alimentavano sono state invece captate
dall'acquedotto comunale, appena a monte dell'autostrada A19. Il
Castello di Maredolce è ancora esistente, ed è stato restaurato di
recente, ma non è aperto al pubblico.
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I Sollazzi regi |
Il parco della Favara faceva parte di un sistema di residenze reali
di delizia, i "sollazzi regi", che godettero del massimo splendore sotto
re Guglielmo II: la Cuba Sottana oggi Castello della Cuba, la Cuba Soprana (oggi villa Napoli) con annesso padiglione della Cubola, entrambi all'interno di un ampio bacino lacustre artificiale contornato da vegetazione, il Castello della Zisa, e infine il Castello dell'Uscibene, in completo degrado nella zona di Fondo Caro, pervasa da scempi da abusivismo edilizio.
Questo sistema di residenze ad Est delle mura della città e che impressionava molto i visitatori, fu denominato Jannat al-arḍ ("Il giardino - o Paradiso - della terra o delle rose): il Genoardo.
Proprio lì, alla Cuba, tra le acque e gli alberi che la circondavano, Boccaccio ambientò una delle novelle del suo Decameron. La sesta della quinta giornata. È la vicenda d'amore tra Gian di Procida - nipote dell'omonimo grande eroe del Vespero siciliano - e Restituta, una ragazza bellissima di Ischia rapita da «giovani ciciliani» per offrirla in dono al allora re di Sicilia: Federico II d'Aragona.
Quando Giovanni Boccaccio scrisse il Decameron, era già cominciato il declino dei parchi reali che erano l'orgoglio della città, ma ormai devastati.
Decadde così in degrado la Palermo che con le parole del geografo arabo al-Idrisi
era allora «la più grande e la più bella metropoli del mondo» con la
sua vasta verdeggiante pianura e con i suoi luoghi di delizie (mustanaza).
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Mappa interattiva
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